Dell'inutilità della psicoterapia per un recidivo

Fino a qualche anno fa era tabù parlare in pubblico delle proprie debolezze mentali, delle proprie carenze psicologiche, lievi o gravi che fossero. Oggi la tendenza è cambiata. E non può essere che positivo per tutti. Abbiamo la possibilità di esprimere i nostri disagi e non sentirci messi da parte, alienati.
È così, almeno in gran parte.

"Curati" non è più un insulto, ma un benevolo invito.
Non esiste solo la faramacologia, che da sola serve a poco, ma la psicoterapia, mano santa per tutte le tasche.
Ma "Curati" puoi dirlo a un recidivo della malattia mentale?
Puoi dirlo con lo stesso tono, la stessa intenzione a un recidivo della depressione?
Da recidivo ti dico anche "no".
No, grazie, basta con la psicoterapia.
Non ho nulla, anzi, più volte (almeno un paio) mi ha salvato la vita (e non esagero).
Poi succede che il percorso terapeutico, a meno che non si tratti di quella coglionata della psicanalisi, finisca. Un percorso può terminare perché ciò bisognava raggiungere è stato raggiunto, perché si è esaurita la spinta che ci portava levarci di dosso quella oppressione esistenziale. I motivi sono molti.
Ma come puoi dire a un recidivo "Curati"? Con quale coraggio e sicurezza ti poni davanti a chi nella depressione (ad esempio) ci convive da decenni, che conosce i periodi di alti e bassi, che sa quando arriveranno, le macerie che lascerà, e poi il periodo di euforia che sarà un preludio a nuove macerie.
No, io rifiuto la psicoterapia.
Perché ho già narrato più e più volte la mia storia personale, ho ripercorso il cammino nelle mie stanze buie, ho pianto davanti a sconosciuti, cercando di mantenere una stima di oggettività; imparando a non lasciarmi travolgere ancora una volta dal vuoto, cercando di fornire al nuovo psicoterapeuta la mia storia clinica. Ho narrato per anni i miei disagi, le mie crisi esistenziali. Ho pianto, sono rimasto senza fiato, senza forze. Ho sentito la solitudine schernirmi dal centro del mio stomaco.

Non si sta male una volta sola. Esistono le ricadute, ed è innegabile che questo metta in difficoltà chi ti sta vicino; e chi ti sta vicino si spaventa e allora, giustamente, scappa, perché non è pronto ad affrontarti.
Di solito cerca di darti una mano, vuole farti cambiare idea, di darti un aiuto (e chi te l'ha chiesto) ma tu non puoi colpevolizzare nessuno.
Tentano, in tutta la loro buona fede d'esserti vicino. Ti dicono che stai male, devi curarti.
È diventato un obbligo morale.
Ma coloro che te lo consigliano in buona fede, sia chiaro, sanno cosa significa affrontare una vera a seria psicoterapia? Sanno cosa significa ripercorrere ancora una volta quel solito labirinto che comporta lacrime, crisi, debolezze?
Tutti sono contro gli psicofarmaci, ma nessuno è più contro la psicoterapia.

Noi siamo un colloquio.
Sì, ma abbiamo bisogno anche di non parlare più. abbiamo bisogno di vivere le nostre vite "malate" seguendo i nostri percorsi.
"Curati" è come dire "renditi debole", "ammorbidisciti, così la smetterò d'avere paura di te".
Hai sempre avuto paura di me, mi hai sempre evitato anche tu mi hai cristallizzato secondo le tue concezioni. E non ammetti d'aver sbagliato, o se lo fai, mi riduci a discarica.
Facile così.

Curati. Non isolarti. Diventa come tutti, io intanto sparisco. Scelgo altro, scelgo ciò che tu non mi hai dato, convinto che io avessi potuto dartelo nonostante non abbia mai fatto professione di fede.
Curati.
Non curiamoci. Non c'è una meta da raggiungere, non staremo mai bene.
Abbiate il coraggio di dichiarare la vostra paura. Il recidivo della depressione si è rotto il cazzo. Vive e basta, fino a quando durerà non importa più nulla.
Basta così.
Basta.


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